Omicidio Cecchettin, ergastolo a Turetta: «Uccisa perché non voleva tornare con me»

di Pierluigi Perretta
11 Minuti di lettura
Il murales per Giulia Cecchettin

Oggi, martedì 3 dicembre, il verdetto di primo grado per il femminicidio della studentessa 22enne da parte dell’ex fidanzato reo confesso dell’assassinio dell’ex fidanzata, uccisa con 75 coltellate la sera dell’11 novembre 2023. Con un processo ‘lampo’, possibile grazie all’acquisizione degli atti del fascicolo, alla rinuncia di tutti i testimoni e con il solo interrogatorio in aula di Turetta, si chiude, con cinque udienze e in poco più di due mesi, il processo di primo grado per l’omicidio di Giulia Cecchettin. A poco più di un anno dal femminicidio che ha scosso l’Italia e rimesso al centro la lotta al patriarcato, arriva, dunque, la prima sentenza. L’ergastolo, la richiesta pronunciata in aula dal pm Andrea Petroni, è la pena che si aspettano tutti, anche l’imputato che a testa bassa, come si mostra in aula, proverà a ricostruirsi con un percorso detentivo. L’omicida, salvo sorprese, sarà presente in aula e siederà tra i suoi difensori, gli avvocati Giovanni Caruso e Monica Cornaviera, a pochi passi da lui ci sarà papà Gino Cecchettin che ha creato una fondazione dopo la morte della figlia. “Non mi auguro nessuno tipo di vendetta, sono sicuro che i giudici decideranno al meglio – ha detto Gino Cecchettin – Ho piena fiducia nelle istituzioni, la pena che decideranno i giudici sarà quella giusta“. In aula le parti civili – il padre, i fratelli Elena e Davide, lo zio paterno Alessio e la nonna Carla Gatto – chiedono circa 2 milioni come risarcimento. Dopo le eventuali repliche, il giovane di Torreglia (PD) potrebbe decidere di fare brevi dichiarazioni spontanee, l’ultimo atto prima che i giudici si ritirino in camera di consiglio per uscirne con il verdetto. Ai giudici togati e popolari non spetterà stabilire la responsabilità del reo confesso, ma decidere se sussistono le aggravanti contestate (la premeditazione, la crudeltà e lo stalking) e se un ventiduenne merita – data la giovane età e l’incensuratezza – una condanna a 30 anni e non il fine pena mai. Se per la difesa l’ergastolo è “inumano“, per l’accusa è l’unica condanna possibile per chi ha premeditato di uccidere. Per il pm Andrea Petroni, il delitto “è l’ultimo atto del controllo” esercitato sull’ex fidanzata, laureanda in Ingegneria biomedica. L’azione dell’imputato è “manipolatoria“: incalza la compagna di studi, la tormenta, gioca sui sensi di colpa, invia decine e decine di messaggi al giorno, minaccia il suicidio come forma di “ricatto“. In quel rapporto altalenante iniziato nel gennaio 2022 e interrotto definitivamente a fine luglio 2023, le richieste sono “ossessive e ci sono dei principi di violenza fisica“.

La vicenda risale alle 13.30 di domenica 12 novembre 2023 quando, a Vigonovo (PD), Gino Cecchettin denuncia ai carabinieri la scomparsa della figlia Giulia. Di lei e dell’ex fidanzato e compagno di studi Filippo Turetta non si hanno più notizie dalla sera prima. Dopo aver trascorso una serata al centro commerciale ‘Nave de Vero’ di Marghera, si perdono le loro tracce. Il giovedì, giorno della discussione della tesi di laurea in Ingegneria biomedica all’università di Padova, la sedia di Giulia è vuota. Dura meno di una settimana la speranza della famiglia di ritrovare viva Giulia . Il corpo, coperto da sacchi neri, viene trovato sabato 18 novembre vicino al lago di Barcis, in provincia di Pordenone, a cento chilometri da casa, nascosto in un anfratto roccioso non visibile dalla strada. Accanto alla vittima appassionata di fumetti, c’è il libro illustrato per bambini ‘Anche i mostri si lavano i denti!’. Le coltellate, 75 svela l’autopsia, raccontano che è morta per emorragia; le ferite – 25 da difesa – si concentrano su testa, collo e braccia. La fuga – attraverso Veneto e Trentino, fino in Austria – di Turetta finisce in Germania, dove viene arrestato su mandato europeo. È sera quando una pattuglia della polizia lo intercetta sull’autostrada A9 a Duerrenberg, direzione Monaco, a mille chilometri da casa. La Fiat Grande Punto è ferma, a luci spente, sulla corsia di emergenza. “Ho ucciso la mia fidanzata” ammette. “Mi sono rassegnato a non suicidarmi più e a essere arrestato“. Il 25 novembre atterra, con un volo di Stato, all’aeroporto di Venezia e viene rinchiuso nel carcere veronese di Montorio. Il primo dicembre, davanti al pm di Venezia Andrea Petroni, Turetta confessa l’aggressione in tre atti: nel parcheggio di Vigonovo a 150 metri da casa Cecchettin, durante il tragitto in auto e nella zona industriale di Fossò. Al rifiuto di tornare insieme, afferra un coltello e colpisce: Giulia urla, cade e lui la carica in macchina. Sono i primi sei minuti di un femminicidio che si compie in venti. Infierisce quando è bloccata in auto e nella zona industriale lei prova a scappare. “Continuava a chiedere aiuto. Si proteggeva con le braccia dove la stavo colpendo. L’ultima coltellata che le ho dato era sull’occhio“. Alle 23.40 la telecamera di una ditta la mostra inerme. Lui la carica sui sedili posteriori e inizia la fuga.

L’imputato rinuncia all’udienza preliminare e il 23 settembre 2024, davanti alla corte d’Assise di Venezia, presieduta dal togato Stefano Manduzio e composta anche da giudici popolari. Inizia, così, il processo per omicidio volontario aggravato da premeditazione, crudeltà, legame affettivo passato e stalking, occultamento di cadavere, porto d’armi e sequestro di persona. “Ho ucciso Giulia perché non voleva tornare con me, avevo rabbia, soffrivo di questa cosa. Io volevo tornare insieme a lei e di questo soffrivo molto e provavo risentimento, molto, verso di lei“. Tentenna, incespica, tiene sempre la testa bassa, versa poche lacrime. Turetta ci mette quasi sei ore per dire con chiarezza il movente dell’omicidio. Il resto è un tentativo di minimizzare. A un anno dal delitto fatica a pronunciare il nome di Giulia. “È giusto espiare la colpa e provare a pagare per quello che ho fatto. Vorrei non aver fatto a lei questa cosa terribile. In certi momenti vorrei chiedere scusa, ma credo sia ridicolo visto l’ingiustizia che ho commesso. Mi dispiace tantissimo“. “Le prove contro Turetta sono talmente evidenti che c’è l’imbarazzo delle scelta” e il delitto “è l’ultimo atto del controllo” esercitato sull’ex. Le richieste sono “ossessive e ci sono dei principi di violenza fisica. Giulia già ad ottobre del 2022 dichiara di avere paura, lo ribadisce a ottobre 2023 in un messaggio: ‘mi spaventi, tu ti comporti come uno psicopatico, inizi a farmi paura’“. Turetta che “aveva tutte le possibilità e gli strumenti culturali per scegliere” premedita di uccidere. “Non si costituisce, la sua è una resa. Ha finito i soldi e si prepara all’arresto cancellando le prove sul cellulare” ed è anche per questo che merita l’ergastolo, sancisce il pm Andrea Petroni. La difesa, rappresentata dagli avvocati Giovanni Caruso e Monica Cornaviera, ribatte che l’ergastolo “è inumano” e a Turetta, 22 anni, bisogna garantire una pena giusta, uscendo dal populismo del “buttare via la chiave“. Ha “agito in preda all’emotività, in uno stato di un’alterazione emotiva“, ha colpito alla cieca, il suo a gire “non è crudele e non è premeditato“. Non è Pablo Escobar e il procedere ondivago dell’imputato “è piuttosto un vediamo come va“. Giulia – che ha dato appuntamento al suo futuro omicida – “non ha paura di Turetta, quando dice ‘mi fai paura’ si riferisce alla paura che lui si faccia del male“. La difesa chiede di escludere le aggravanti o di considerarle equivalenti alle attenuanti, insomma di evitare il fine pena mai. Filippo Turetta, almeno quattro giorni prima di uccidere, si appunta ciò di cui ha bisogno: coltelli, nastro per legarla e impedirle di urlare, cartine stradali per la fuga, contanti per evitare di essere rintracciato, sacchi neri, sono solo alcuni degli oggetti elencati. Di fronte all’ennesimo rifiuto di tornare insieme, Turetta entra in azione e compie l’aggressione in tre atti, che si compie in venti minuti. A Vigonovo, in un parcheggio a 150 metri da casa Cecchettin, impugna un coltello e inizia a colpire. La costringe a salire in auto dove infierisce ancora, e quando nella zona industriale di Fossò (Venezia) scappa, la raggiunge, la spinge a terra e la finisce con una seconda lama. La carica in auto e la abbandona a cento chilometri da casa, in un anfratto vicino al lago di Barcis. La copre con i sacchi neri per celare l’orrore delle 75 coltellate, ben 25 da difesa a testimoniare che la vittima ha lottato a lungo. Nella confessione in carcere, in lunghe memorie scritte in carcere e nell’interrogatorio in aula, l’imputato confessa l’incapacità di accettare un no. Un anno dopo, Turetta giudica male sé stesso, ma la sentenza per quello che ha fatto a Giulia Cecchettin oggi, martedì 3 dicembre, spetta ai giudici.

 

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