Il Processo Telematico: Avvertimento della Corte dei Conti.

Non accorcia i tempi.

di Giovanni De Gennaro
9 Minuti di lettura

Il 2023 è stato un anno foriero di novità sul tema Giustizia, caratterizzato appunto dall’entrata in vigore della riforma del Processo Penale, che già sta suscitando qualche problema tecnico, e dai preparativi per l’entrata in vigore della riforma Civile.

Ma veniamo a noi e al tema che sta suscitando un certo interesse in questo inizio d’anno abbastanza turbolento; il Processo Telematico accorcerà i tempi della Giustizia?

Sembrerebbe di no.

La Corte dei Conti su questo tema fa da spartiacque e lo fa presentando la relazione sui risultati ottenuti dal processo civile telematico nel quinquennio 2016/2020; dalla quale emerge chiaro il suo avvertimento. Il Processo Telematico non riduce i tempi dei processi, anzi al contrario risulterebbero essere più utili in questo senso, le risoluzioni extragiudiziali delle controversie, ovvero le cosiddette adr:

Il rispetto del noto principio della ragionevole durata dei processi appare ottenibile solo in parte con la digitalizzazione dei processi, la quale è più concretamente perseguibile soprattutto mediante l’introduzione di adeguate procedure deflattive in termini di risoluzione extragiudiziale delle controversie“.

La Corte dei Conti inoltre fornisce un ventaglio di ragioni, sul perché la telematizzazione non abbia raggiunto il risultato sperato; innanzitutto una legislazione di riferimento poco organica ed un’arretratezza endemica degli uffici dal punto di vista digitale. Ciò nonostante la Corte riconosce che oramai il Processo Telematico nel settore civile è una realtà, mentre in quello penale deve ancora arrivare a compimento.

I dati parlano chiaro.

Al 31 dicembre 2020, gli atti telematici depositati sono stati oltre 56milionioltre 34milioni i provvedimenti nativi digitali, 125milioni le comunicazioni e notifiche telematiche. Inoltre grazie all’investimento di 133milioni di euro del Pnnr, si è dato il via alla digitalizzazione dei fascicoli cartacei, con l’obiettivo di portarlo a termine per tutti i 10milioni di fascicoli dal 2016 in poi.

Altro tema caldo è la volontà di punire chi pubblica gli atti.

Praticamente oltre alla volontà del Ministro di intervenire sulle intercettazioni e soprattutto sulla loro pubblicazione illegale attraverso fughe di notizie, si mostra chiara la volontà del centrodestra di puntare ad introdurre anche una nuova fattispecie di reato, cioè quella che mira alla impossibilità di pubblicare anche stralci di indagine sino all’udienza preliminare. Infatti attualmente il codice di procedura penale fa divieto di pubblicazione degli atti d’indagine in forma integrale fino all’udienza preliminare e la sua violazione prevede solo una contravvenzione.

Da ciò assurge la volontà del Centro destra di punire non solo la pubblicazione integrale ma anche quella a stralcio; e lo fa mediante la proposta di legge depositata da Annarita Patriarca e Tommaso Antonio Calderone, deputati di Forza Italia e a loro volta componenti della Commissione Giustizia: “che introduce una fattispecie tipica di reato, punibile da due a cinque anni e quindi, una volta approvata la norma, nessuno potrà più pubblicare con leggerezza atti di indagine fino all’udienza preliminare, cosi come prescritto. Il mostro non andrà più sbattuto in prima pagina a fronte di una semplice contravvenzione“.

Segue la problematica dei Semiliberi.

Alla vigilia della protesta dei garanti delle persone private della libertà finita con lo sciopero della fame, interviene il Ministero della Giustizia sulla questione dei Semiliberi.

Praticamente i garanti chiedevano attenzione sul fatto che, senza una proroga espressa qualche centinaio di semiliberi da due anni e mezzo, sarebbero dovuti rientrare la notte in carcere. Questi condannati, infatti, avevano goduto di un regime particolare grazie alle norme anti-covid, secondo le quali potevano rimanere a dormire fuori dal carcere dopo il lavoro diurno, per non rischiare di portare in cella il virus.

Il Ministero della Giustizia contrariamente alle richieste, ha ritenuto di non concedere la proroga a questa misura, che era scaduta il 31 dicembre; e lo fa spiegando le sue ragioni tramite il sottosegretario Andrea Ostellari: “Superata la pandemia da coronavirus, la misura emergenziale che aveva concesso ad alcuni detenuti di scontare la pena al di fuori delle carceri non è stata prolungata. Si tratta di circa 190 soggetti semiliberi che, avendo dimostrato una buona condotta, potranno usufruire dei benefici previsti dalla loro condizione. Sarà, quindi, la magistratura di sorveglianza a decidere, caso per caso, in base alla pena ancora da scontare e al ricorrere dei presupposti previsti dall’ordinamento. Le garanzie e i diritti restano uguali per tutti e si ritorna alla condizione di normalità“.

Sullo sfondo la questione dei laici al Csm e le donne.

E’ oramai vicina la data del 17 gennaio, dove il Parlamento in seduta comune eleggerà i laici del Consiglio Superiore della Magristratura. La procedura di trasparenza prevede che le candidature rimangano aperte fino al 9 gennaio, con una proroga nel caso in cui i candidati del genere meno rappresentato non siano il 40% e con un giorno ulteriore solo per le candidature avanzate da almeno 10 parlamentari di due gruppi diversi.

Attualmente il numero di candidati è 136, tra questi si leggono i nomi di avvocati più o meno noti e di professori universitari. Il numero delle donne contrariamente a quanto ci si aspettava è molto ridotto; infatti non arrivano a quaranta. Per questo motivo per loro i termini rimarranno aperti fino al 16 gennaio, anche se il voto non verrà rimandato e la quota del 40% di candidate non verrà raggiunto. Inoltre non esistono vincoli di genere sul voto, infatti i 10 laici da nominare potranno essere anche tutti uomini come sono del resto gli 8 uscenti. Le quote attese dovrebbero essere così ripartite: “3 eletti da FdI, 2 Lega, 2 FI e tre alle opposizioni (Pd, M5S e terzo polo)“.

 

Sulla questione nomina dei laici è intervenuto anche Angelo Ciancarella, giornalista ed ex portavoce dell’ex ministro Giovanni Maria Flick : “Non succederà mai, ma se ad esempio Giuliano Amato, ex presidente della Corte Costituzionale, dovesse presentare la domanda sarebbe difficile per il Parlamento non votarlo: dieci, venti, trenta personalità di questo spessore renderebbero per i partiti difficile designare figure mediocri o sconosciute, oppure conosciute solo per essere state dei parlamentari. Se succedesse, sarebbe positivo sia per la qualità dei laici e quindi di tutto il Csm, ma anche ad allontanare sospetti di ingerenze politiche nell’organo di governo autonomo.”

Sul finire la questione dei Ricorsi al Consiglio Nazionale Forense.

Una volta terminato il voto in tutti i distretti di Corte di Appello, per scegliere i nuovi Consiglieri Nazionali del Cnf, potrebbe aprirsi la stagione dei ricorsi. Per esempio a Napoli, distretto che per ultimo ha votato prolungando le operazioni fino al 30 dicembre, ci sono due candidate che al pari rivendicano l’elezione. A dirimere la vicenda dovrà essere la Commissione Ministeriale a cui vengono inviati i risultati delle elezioni nei vari distretti. Prevarrà la candidata con maggiore anzianità di iscrizione all’albo ordinario o con maggiore anzianità all’albo cassazionisti; sempre secondo il giudizio della commissione. Nel distretto di Napoli si pone anche la questione del mancato voto del consiglio dell’ordine di Napoli Nord, in quanto commissariato.

Di un altro ricorso già è notizia nota. Quello del consigliere uscente Giuseppe Sacco, che chiede l’annullamento delle elezioni del Cnf che si sono appena svolte, sulla base dell’argomento che si sarebbero dovute indire in marzo 2023, quale data di effettiva scadenza della consiliatura. Nel merito il Tar del Lazio ha disposto con decreto che il Cnf nella nuova costituzione non possa essere convocato prima della camera di consiglio del 10 gennaio; si attende nel frattempo la decisione dei giudici amministrativi.

Al momento nel ricorso, si sono costituiti i coa di Roma, Venezia, Brindisi e Lagonegro.

 

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